giovedì 23 febbraio 2012

Il consiglio provinciale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno di Maria Rosa Zanacchi (Pd) per limitare la realizzazione e l’autorizzazione di impianti di biogas che non siano collocati presso le stalle delle aziende agricole e che superino i 250 KW di potenza .

Da Cremonaoggi.it
Il consiglio provinciale ha approvato all’unanimità un ordine del giorno di Maria Rosa Zanacchi (Pd) per limitare la realizzazione e l’autorizzazione di impianti di biogas che non siano collocati presso le stalle delle aziende agricole e che superino i 250 KW di potenza .
“Il territorio della Provincia di Cremona – ricorda Zanacchi nelle premesse dell’atto approvato – detiene il record nazionale di impianti di biogas autorizzati : essi sono complessivamente 125 , con oltre 130 MW di potenza”. Inoltre, “per alimentare un “digestore” da 1 MW occorre ogni giorno l’equivalente di 1 ettaro di terreno coltivato a mais al punto che a breve il 25% della superficie agricola provinciale sarebbe destinato a produrre mais da utilizzare negli impianti di biogas, sottraendo così terreno fertile alla produzione di alimenti umani ed animali”.
Nel documento si sottolinea poi che “è invece eticamente, culturalmente ed economicamente più corretto puntare sul binomio “agricoltura-ambiente” e sulla valorizzazione delle produzioni agricole, non basando l’integrazione al reddito solo sull’estensione bensì sulla qualità e sul recupero di sistemi colturali più sostenibili e meno invasivi ma non per questo meno efficienti”.
Alla luce di queste premesse, il Consiglio Provinciale , con l’approvazione dell’ordine del giorno, impegna la Giunta Provinciale “ad adottare provvedimenti che sostengano l’agroecologia favorendo le iniziative basate sul riuso , il riciclo, il rispetto dell’ambiente , le energie rinnovabili come il microidroelettrico e riportando il biogas al principio originario di valorizzazione di biomasse “non nobili” la cui “digestione” rappresenti un’alternativa a forme di smaltimento costose quali i rifiuti organici domestici, gli scarti della Grande Distribuzione Organizzata e quelli agro-industriali fermentescibili”.



Serbia: a MX Group l’appalto per 1 GW di fotovoltaico

Da ZeroEmission
L’italiana MX Group Spa si è aggiudicata l'appalto da 1,75 miliardi di euro per la costruzione in Serbia della centrale fotovoltaica più grande del mondo. L’assegnazione del maxi contratto è stata resa nota oggi in una conferenza stampa al Palazzo del Governo di Belgrado. La società italiana ha ottenuto l'incarico in esclusiva come EPC Contractor per la progettazione e la realizzazione di un parco fotovoltaico che si estenderà su una superficie di tremila ettari: l’area fotovoltaica sarà due volte più grande del parco solare californiano che deteneva il primato fino a oggi. Il committente è la società lussemburghese Securum Equity Partners Europe SA che ha sottoscritto un accordo quadro con la Repubblica di Serbia. Il 19 febbraio è stato firmato il preliminary agreement con MX Group Spa incaricata della realizzazione. "Onegiga Project" sarà costituito da cento impianti da 10 MW ciascuno, installati tra il 2013 e il 2015. Saranno utilizzate “aree marginali”, precisa una nota, e non “terreni agricoli”.

Grande soddisfazione per Carmelito Denaro, presidente e amministratore delegato di MX Group Spa: "Siamo orgogliosi di aver ottenuto questo incarico prestigioso e di enorme portata per le sue dimensioni, che comporterà inoltre l'apertura in loco di una fabbrica di pannelli fotovoltaici e di una società di EPC Contractor. Questo progetto porta MX Group e  le migliori tecnologie nel campo del solare in un'area europea di grande interesse economico e strategico. E' un riconoscimento anche al ruolo della nostra industria del settore, un impulso straordinario alla capacità produttiva della nostra impresa". Per l'impianto in Serbia la società Fimer sarà partner esclusivo di MX Group per la fornitura degli inverter. (f.n.)

martedì 21 febbraio 2012

Sottoprodotti agroindustriali per produrre energia: Nuovo valore agli scarti alimentari

"L'agricoltura è una produzione primaria, ma è anche energia. Ed è grazie all'agricoltura che è possibile presidiare il territorio tutelandolo dal disastro dell'abbandono, ottenendone di contro un'opportunità di investimento che non si può ignorare". Andrea Pannocchieschi, presidente di Agroenergia, non ha dubbi: il rapporto tra produzione agricola ed energia è inscindibile. "L'opportunità di fare reddito e investimenti sulla propria terra - afferma - è un vantaggio che il mondo agricolo ha saputo cogliere nella sua interezza, affrontando spesso impegni finanziari pesanti. La terra sa essere molto versatile e premia chi la sa sfruttare bene. Pensiamo a quanti ettari di terreno incolti o abbandonati possono essere destinati alla produzione di coltivazioni da impiegare negli impianti di biogas. Tutto sta nel trovare il giusto equilibrio. Guardiamo alla Germania che è leader nel biogas e nel fotovoltaico, e pensiamo all'Italia, che è costretta a importare l'85% dell'energia che consuma: il margine di intervento, come si vede, è considerevole".

Intanto nei prossimi giorni verrà presentato il secondo Osservatorio Agroenergia che quest'anno si è occupato delle tematiche legate all'utilizzo dei sottoprodotti agricoli. "Lo scorso anno - spiega Piero Mattirolo, ad di EnergEtica onlus, che insieme a Confagricoltura ha commissionato l'Osservatorio alla Società di ricerca Althesys - l'Osservatorio si era occupato dell'aspetto economico, degli incentivi e della sostenibilità, e i dati raccolti avevano messo in evidenza che il settore delle agroenergie può portare all'Italia nei prossimi dieci anni fino a 20 miliardi di euro di benefici insieme a una drastica riduzione di emissioni di Co2, pari a qualcosa come 280 milioni di tonnellate". Quest'anno invece i sottoprodotti.

"Infatti - sottolinea Mattirolo - abbiamo ritenuto importante studiare i possibili scenari sull'impatto che possono avere, quali sono le criticità e gli ostacoli legislativi che tuttora ne rendono insidioso l'impiego. Le potenzialità a nostro avviso ci sono; bisogna stabilire l'effettivo potere metanigeno dei sottoprodotti rispetto al mais e confrontare le differenze dei costi di produzione tra le due tipologie di produzione".

E sarà proprio il presidente di Agroenergia Pannocchieschi uno dei protagonisti del secondo seminario Food Bioenergy che anche quest'anno si svolge nell'ambito di BioEnergy Italy, il punto di riferimento fieristico per le fonti rinnovabili di energia (Cremona, 15-17 marzo 2012).

L'appuntamento, in programma il 15 marzo alle ore 10,30, metterà in luce importanti possibilità di risparmio economico per le aziende agricole e l'industria agroalimentare, illustrando alcune delle soluzioni più interessanti per il comparto agricolo e industriale in tema di recupero degli scarti e recupero di calore dal processo di trasformazione degli stessi.

Al limite della produzione di petrolio convenzionale

Da QualEnergia.it
Dal preconsuntivo 2011 dell’Unione Petrolifera sull'attività petrolifera (vedi allegato in basso) emergono chiaramente conferme dello stallo in cui versa la coltivazione delle riserve convenzionali di petrolio su scala mondiale. Il dibattito aspro sulla collocazione temporale del picco di produzione del greggio sembra appartenere al passato.
L'evidenza dei dati ha portato la sfida dialettica su altri temi: implicazioni della produzione petrolifera sulle crisi economiche, e in particolare su quella attuale (Qualenergia.it, Domanda e offerta di petrolio nel tempo della crisi), stabilità economica internazionale e sicurezza energetica, variazioni del prezzo del petrolio e ricadute sulla transizione verso l'economia low carbon.
Sebbene siano di primaria importanza, questi argomenti rischiano tuttavia di svolgere una funzione diversiva e distogliere l'attenzione dal problema geoeconomico fondamentale della limitatezza delle risorse. Si allinea alla tendenza anche la IEA che avendo fatto proprio il grido d'allarme sugli esiti nefasti per il clima dello scenario energetico business as usual (+6 °C entro la fine del secolo), ha lanciato il gas come risorsa prevalente del mix energetico mondiale dei prossimi decenni, nel Golden Age of Gas Scenario (Qualenergia.it, Età dell'oro per il gas, ma non per il clima), ufficializzando implicitamente per il petrolio l'ingresso nell'era del picco.
La produzione di petrolio quindi non riesce più a sostenere l'aumento della domanda che, malgrado il rallentamento dell'economia, ha fatto registrare comunque nel 2011 un aumento di 0,9 milioni di b/g (+1%). La crescita della domanda continua a essere trainata dai Paesi non OCSE (+3%), in particolare dalla Cina (+5,2%) con significativi contributi anche dai Paesi ex URSS (+4,3), dagli altri Paesi asiatici (+3,2%) e dell'America latina (+3%). Complessivamente i Paesi non OCSE sono prossimi al 50% dei consumi mondiali. L'offerta petrolifera mondiale (88,5 milioni di b/g), lo scorso anno non è stata in grado di soddisfare la domanda (89, 2 milioni di b/g) e la IEA si è vista costretta a deliberare il rilascio delle scorte obbligatorie.
Venendo meno la produzione libica (-1,6 milioni di b/g), per i noti fatti bellici, e una quota di quella dei Paesi non Opec (in calo strutturale dello 0,2%), l'incremento delle produzioni saudita (+1,1 milioni di b/g) e irachena (+0,4 milioni di b/g) è stato insufficiente a coprire il deficit. Neanche il lieve aumento dei contributi di altri due grandi produttori - il primo in assoluto, la Russia (10,5 milioni di b/g) e tuttora il terzo, gli Stati Uniti (8,0 milioni di b/g) – è risultato significativo.
Queste problematiche hanno avuto immediate ripercussioni sui prezzi del barile. Il Brent per esempio, nel periodo aprile 2010-aprile 2011 ha subito un aumento che ha portato il prezzo medio di oscillazione semestrale da circa 75 $ a 110 $, e ha raggiunto una quotazione media annuale (2011) di 111,4 $ (+40% rispetto al 2010).
Ma sono soprattutto altri dati offerti dal rapporto UP che si prestano a interpretazioni sui fondamentali di lungo periodo dell'upstream petrolifero: il valore medio annuo del mix di greggio importato dai Paesi OCSE ha toccato il record storico assoluto, in termini sia nominali sia reali, di 106,8 $/b; il prezzo medio decennale 2001-2010 del Brent è salito del 218% rispetto agli anni 1990 (da 18 $ a 57,2 $).
Si tratta di aumenti consolidati che superano la volatilità dei prezzi del greggio spesso associata da molti analisti, come effetto primario, alla finanziarizzazione del mercato del petrolio nel sistema dei titoli a futuri. Le implicazioni del mercato dei future sulla formazione del prezzo non sono in discussione, vista la caratteristica altamente speculativa di questo mercato che è capace di accogliere flussi ingenti di capitali provenienti dal altri settori finanziari e può scambiare in un giorno più dell'intera produzione annuale di petrolio. Tuttavia la sofferenza del rapporto offerta/domanda, ormai in deficit dal 2009, segnala probabilmente il compimento del percorso che ha condotto al limite superiore di produzione del petrolio convenzionale.
I prezzi alti sono ovviamente bene accolti dall'industria estrattiva anche in prospettiva dello sfruttamento delle risorse non convenzionali che presentano costi operativi e ambientali ingenti. La leva dell'impatto economico può così diventare uno strumento motivazionale, a sostegno dei progetti di sviluppo minerario, ancora più consistente nel periodo di crisi. Può beneficiare di questo aspetto anche il settore del gas, non del tutto svincolato dalle dinamiche di prezzo del petrolio, in particolare in Italia.
Suonano come una conferma le recenti dichiarazioni di Stefano Saglia, ex sottosegretario del Ministero dello sviluppo e componente della Commissione Attività produttiva della Camera, sull'opportunità economica di ampliare i limiti di ricerca, sviluppo e coltivazione di idrocarburi per l'offshore nei mari italiani.

lunedì 20 febbraio 2012

Come funziona un impianto di biogas?

Il Parlamento europeo in soccorso del prezzo della CO2

Da QualEnergia.it
Novità da Bruxelles sul fronte del mercato delle emissioni:  il Parlamento europeo prende posizione ufficialmente e spinge la Commissione ad agire. L'Europa deve intervenire per far rialzare il prezzo della CO2 e può farlo togliendo dal mercato i permessi ad emettere in eccesso, dice la nuova risoluzione, che chiede che la Commissione “ritiri dal mercato la quantità necessaria di permessi” per far tornare i prezzi a livelli adeguati.
L'allocazione troppo generosa di permessi ad emettere nell'ambito dell'emission trading europeo, unita al rallentamento economico ha portato a un crollo del prezzo della CO2, accelerato nell'ultimo anno. A dicembre si è toccato il minimo storico di 6,51 euro a tonnellata, meno della metà degli oltre 14 euro/t di inizio 2011 (oggi siamo a 9,25 euro/ton).
Molte tra le industrie coinvolte nell'Emission Trading System (ETS) al momento non devono praticamente fare alcuno sforzo per ridurre le proprie emissioni. Tra gli Stati membri quasi due terzi sono già sulla strada per superare i propri obiettivi al 2020 senza dover adottare misure aggiuntive. I bassi prezzi dei permessi a emettere  – spiega un recente documento di lavoro della Commissione  - rischiano di immobilizzare l'Europa, frenando gli investimenti per ridurre la CO2 qui e ora, facendo lievitare i costi per la mitigazione che si dovranno sostenere dopo il 2020.
Già a fine dicembre il Parlamento aveva approvato la proposta di togliere dal mercato delle emissioni 1,4 miliardi di permessi ad emettere per la terza fase dell'EU-ETS, che inizierà nel 2013. Nella nuova risoluzione non si dice più di quanto si dovrebbe tagliare, ma, novità rilevante, si spinge la Commissione ad intervenire prima che scatti la terza fase, a gennaio 2013.
Non quantificare il volume di permessi da ritirare, spiega alla stampa Bas Eickhout dei Verdi olandesi, è stato necessario per avere un appoggio il più vasto possibile alla nuova risoluzione, che godrebbe di un consenso maggioritario e dovrebbe essere approvata il 28 febbraio nell'ambito della discussione sulla direttiva efficienza. La risoluzione ovviamente non obbligherà la Commissione ad agire, ma si aggiunge alle pressioni che vengono da più parti, compresi importanti gruppi di investitori.
“Se l'Europa non agisce sul prezzo della CO2, solo in Germania metà degli investimenti low carbon necessari diverrebbero economicamente non convenienti”, fanno sapere l'associazione tedesca per l'emission trading (BVEK) e Climate Markets and Investment Association. Contro la proposta di riduzione del volume dei  permessi sul mercato si schierano ovviamente alcuni rappresentanti delle industrie più energivore.
Un prezzo più alto della CO2 darebbe uno stimolo significativo a tutto il comparto europeo della green economy, spingendo le imprese ad investire di più in efficienza energetica e in fonti rinnovabili. Che ridurre i permessi ad emettere assegnati possa essere vantaggioso per l'economia del vecchio continente, d'altra parte, lo aveva notato la stessa Commissione in un recente documento in cui, si vanno a quantificare costi e benefici di un innalzamento dell'asticella dell'obiettivo sulle emissioni per il 2020.
Se si tagliassero le emissioni del 30% rispetto ai livelli del 1990 (anziché del 20% come attualmente previsto), riducendo di conseguenza i permessi ad emettere assegnati, l'aumento di prezzo di questi ultimi si tradurrebbe in 7 miliardi l'anno in più che dall'ETS verrebbero redistribuiti agli Stati membri; un beneficio che si aggiunge a quello sul risparmio sulle fonti fossili (fino a 31 miliardi di euro l'anno) sulle spese sanitarie (fino a 7,6 miliardi l'anno) e ad altri non quantificati nello studio della Commissione come i nuovi posti di lavoro, la ricchezza creata e i danni ambientali evitati.

lunedì 13 febbraio 2012

Spagna: sospesi incentivi alle rinnovabili febbraio 10, 2012 da Redazione

La Spagna ha deciso di sospendere gli incentivi per la costruzione di nuovi impianti produttori di energia pulita. Il blocco degli incentivi alle Rinnovabili è stato stabilito dal governo spagnolo nell'ambito della manovra esecutiva atta a ovviare alla crisi economica in cui imperversa il paese, e, per non gravare ulteriormente sulla spesa pubblica. Non indifferenti le azioni di protesta già intraprese e minacciate da parte delle associazioni di settore.
Il nuovo governo di Mariano Rajoy ha infatti preso atto della situazione finanziaria del paese che ''rende consigliabile eliminare per il momento tali aiuti''. Assicura il governo che la manovra non avrà esito retroattivo su quelle azioni già elette a finanziamento. In oltre - assicura il governo con una nota finale - “La misura non metterà a rischio la sicurezza degli approvvigionamenti né il raggiungimento degli obiettivi in materia di energia rinnovabili presi con l’Unione europea”, d'altra parte, “mantenere l'attuale sistema di incentivazione non è compatibile con la situazione di crisi economica e il calo della domanda”.
La Spagna è fino ad oggi il maggior fornitore di energia pulita prodotta da impianti del settore Rinnovabili, in Europa, a fianco della Germania. Specie in materia di Eolico, la Spagna, proprio in funzione degli incentivi elargiti per i nuovi impianti, rappresenta il vero leader di produzione in Europa. Il rischio è di non riuscire a garantire l'apporto di energia pulita entro il 2020, in merito al raggiungimento degli obiettivi europei (20/20/20) e cioè del 20% di produzione energetica proveniente da Rinnovabili: Madrid rassicura che in questo senso non ci saranno ritardi o mancanze.
La situazione economica della Spagna, che già durante il governo Zapatero aveva causato tagli consistenti agli incentivi per il Fotovoltaico, non è dissimile da quella italiana. Il rischio è che si proceda in tal senso anche in Italia.

Imu e fotovoltaico febbraio 7, 2012 da Felice Lucia

L'Imu è un'imposta di natura patrimoniale che ha per oggetto i terreni e i fabbricati, compresa l'abitazione principale; questo prelievo è sostitutivo dell'Ici oltre che dell'Irpef sulla rendita catastale. La base imponibile si ottiene moltiplicando la rendita catastale rivalutata del 5% per i fabbricati e del 25% per i terreni, per un apposito coefficiente stabilito dalla norma. Nessuna esclusione viene prevista nemmeno per le abitazioni rurali che ricadono nella categoria A (aliquota di imposta 0,4% con detrazione di 200 euro se abitazione principale, se no 0,76%).
Dal 2012 aumenta la base imponibile dell'imposta municipale assumendo anche il valore catastale dei fabbricati destinati al ricovero degli animali, i magazzini dei prodotti agricoli, le serre, i locali destinati al ricovero degli attrezzi, gli impianti di produzione di energia mediante risorse agroforestali o fotovoltaiche
Per effetto dell’art. 13 del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, (c.d. “Decreto Monti”) l’applicazione dell’IMU (Imposta municipale propria) in luogo della componente immobiliare delle imposte sul reddito, delle relative addizionali nonché dell’ICI è stata anticipata, in via sperimentale, al 2012. L’imposta, dunque, è già in vigore in tutti i comuni del territorio nazionale.
Gli effetti della novella, in linea di principio, dovrebbero ricadere anche sugli impianti eolici e fotovoltaici accatastati nella categoria D e potrebbero, peraltro, comportare un aggravio impositivo dovuto all’innalzamento dell’aliquota d’imposta base (7,6 per mille) nonché alla rivalutazione delle rendite catastali che ora, con riguardo a tali immobili, deve essere effettuata mediante l’utilizzo di un moltiplicatore pari a 60 (precedentemente il moltiplicatore era pari a 50).
A questo riguardo, sarebbe stato auspicabile un intervento chiarificatore da parte del Legislatore che dirimesse le annose questioni concernenti l’assogettamento o meno all’imposta di tutti gli impianti eolici e fotovoltaici, a prescindere dalle relative dimensioni, nonché la relativa categoria di accatastamento (D/1 piuttosto che E/3 o E/9, come proposto da alcune commissioni tributarie). Tale chiarimento, sfortunatamente, non ha avuto luogo, motivo per cui ad oggi, in attesa di ulteriori sviluppi, sembrano permanere validi tutti i dubbi interpretativi e le contestazioni che hanno caratterizzato l’ICI nel recente passato.
La manovra Monti non dovrebbe quindi incidere sulla qualificazione degli impianti fotovoltaici come opifici (accatastabili in quanto tali in D/1), e nemmeno sulla loro natura rurale quando insistano su un terreno agricolo. Non sarà invece più necessario (salvo forse che ai fini dell’esenzione per le decorse annualità Ici se e in quanto accora accertabili) chiedere la variazione in D/10 degli impianti classificati in D/1, dal momento che la ruralità, da accertare comunque caso per caso, anche per il fotovoltaico non dipende più dalla classificazione catastale, ma dalla ricorrenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti.

Fotovoltaico, a gennaio produzione a circa il 3% del totale nazionale

Da ZeroEmission
La produzione di energia elettrica da fonte solare conferma il suo trend positivo che prosegue ormai da diversi mesi: a gennaio i moduli fotovoltaici installati lungo la Penisola hanno prodotto in totale 805 GWh, in crescita del 422,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (154 GWh)
Fotovoltaico, produzione conferma trend di crescita: +526% a novembre
La produzione di energia elettrica da fonte solare conferma il suo trend positivo che prosegue ormai da diversi mesi: a gennaio i moduli fotovoltaici installati lungo la Penisola hanno prodotto in totale 805 GWh, in crescita del 422,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (154 GWh). L’elettricità dal sole, in forte aumento, ha rappresentato il 3,3% della produzione netta totale. Grazie al fotovoltaico si compensa inoltre in parte il netto calo della produzione idroelettrica (-38,6% rispetto a gennaio 2011 con un totale di 2.413 GWh), arrivando a soddisfare il 2,8% della domanda elettrica nazionale. Buona la perforamance anche dell'energia eolica (+121,6%, cioè da 565 GWh dello stesso periodo dello scorso anno a 1.252 GWh).

E’ quanto emerge dai dati sui consumi di energia elettrica relativi al mese scorso diffusi da Terna, che registrano un contributo sostanzialmente stabile dell’energia geotermoelettrica (+0,0%) e un calo di quella termoelettrica (-4,5%). Nel mese di gennaio 2012 la richiesta di energia elettrica in Italia è stata pari 27.868 GWh, in diminuzione
rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (-2,6%). Anche la produzione nazionale netta, pari invece a 23.939 GWh si è ridotta del 4,3% rispetto a gennaio 2011. (f.n.)

sabato 11 febbraio 2012

Mercato fotovoltaico, prepararsi al dopo-incentivi

Da QualEnergia.it
La quota fotovoltaica ha coperto in Italia il 3,5% della richiesta di energia elettrica nell’anno appena passato, sfiorando il 5% nel mese di agosto, mentre nel 2012 la produzione solare dovrebbe arrivare a soddisfare il 6% della richiesta, coprendo circa un terzo dell’incremento di elettricità verde che era stato assegnato dall’Europa all’Italia per il 2020. Dal punto di vista delle installazioni, sono ormai 300.000 gli edifici solari.
A livello mondiale il dato di fondo che ha caratterizzato il 2011 è la forte sproporzione tra l’offerta e la domanda. Lo scorso anno, la capacità produttiva era di 50 GW, quasi il doppio rispetto alle installazioni (27,6 GW, dati Epia, ndr), valore che ha portato a far lavorare in molti casi le industrie a ritmo ridotto e a stoccare nei magazzini una notevole quantità di moduli (6-8 GW). Questa situazione ha comportato un drastico calo dei prezzi, il 30% in meno in un solo anno, una dinamica che ha più che compensato le riduzioni di incentivi messe in atto in diversi Paesi. Il trend di discesa dovrebbe continuare ancora, per lo meno in questo primo semestre.
Un segnale in questo senso viene dall’ulteriore calo previsto per il prezzo del silicio di grado solare che, secondo il produttore coreano OCI, dovrebbe scendere del 40% nei prossimi sei mesi, passando dagli attuali 40 dollari/kg a 25 dollari/kg. La situazione che abbiamo descritto, con le aziende cinesi a guidare la corsa ai ribassi, sta provocando un terremoto su scala mondiale.
Ci sono già state vittime illustri negli Usa, pensiamo a Solyndra ed Evergreen Solar, ma anche in Europa e in Italia diverse società stanno soffrendo il nuovo contesto. E nella Cina stessa, dove erano spuntate come funghi produttori di piccole dimensioni, 50 società hanno chiuso perché non in grado di reggere il mercato. Questo sconquasso sta generando un’accelerazione del processo di riorganizzazione del mercato mondiale con un rafforzamento dei grandi gruppi caratterizzati da una presenza internazionale e una produzione verticalmente integrata.
Niente da fare per le piccole imprese? In realtà, c’è spazio sia per le soluzioni innovative che non competono con le produzioni standardizzate, sia per quelle con caratteristiche di efficienza decisamente più avanzate attualmente nei laboratori di ricerca. In tale contesto si situa la battaglia apertasi tra Usa e Cina. All’inizio dello scorso dicembre la Commissione per il commercio Usa ha ritenuto valido il ricorso di Solarworld (società tedesca ma con stabilimenti negli Stati Uniti) e altre sei imprese contro i vantaggi di cui godono le industrie cinesi. La questione verrà dunque approfondita e il Dipartimento per il Commercio potrebbe intervenire nel mese di marzo. C’è da dire che non tutto il mondo fotovoltaico statunitense ha apprezzato questa battaglia. In particolare, le imprese che installano temono che questa possa portare a barriere doganali e rialzi dei prezzi con ricadute negative sul mercato.
Per tornare all’Italia, come è noto il Governo ha indicato in 6-7 miliardi/anno il tetto degli incentivi per il solare fotovoltaico. Già l’incertezza della dizione 6-7 miliardi come tetto massimo delle incentivazioni sta provocando non pochi dubbi, perché molte banche cautelativamente si assestano sul valore inferiore. Ma quando si raggiungeranno queste soglie? Con l’attuale struttura di incentivi si raggiungerebbe il tetto di 6 miliardi attorno alla metà del 2012 e i 7 miliardi alla fine del 2013 in presenza di una potenza media annua installata di 3 GW. Se l’installato annuo si situasse sui 2 GW, il primo step sarebbe raggiunto a fine 2012, mentre i 7 miliardi/anno solo all’inizio del 2015 (vedi grafico: evoluzione del totale degli incentivi per il FV in Italia in relazione alla potenza installata annualmente nel periodo 2012-2014). 
In relazione ai valori di potenza installata, il mercato italiano potrà dunque contare ancora su incentivi per un periodo oscillante tra 1,5 e 3 anni. Se il mercato viaggerà su potenze elevate (oltre 3 GW/anno) per evitare un blocco totale degli incentivi, è possibile che venga proposta una loro rimodulazione.
È chiaro comunque che ci si dovrà confrontare nel medio periodo con un contesto in cui il solare dovrà camminare sulle proprie gambe. Se continuerà il trend di riduzione dei prezzi, avremo nel 2015 un costo del kWh solare per le installazioni sugli edifici inferiore del 10-20% rispetto a quello pagato in bolletta in diverse aree del Paese. Si passerà dunque dalla fase in cui la domanda era “quanto mi frutta un investimento nel solare?” all’interrogativo più appropriato e, soprattutto, valido sul lungo termine, di “quanto mi fa risparmiare un investimento nel solare?”.
In assenza di incentivi, la sola grid parity non basterà per garantire un mercato: la convenienza a installare il fotovoltaico esisterà solo se il valore del kWh solare sarà decisamente inferiore al prezzo pagato in bolletta. Di quanto?
Se si analizzano le diverse offerte dei contratti di elettricità si registrano variazioni di prezzo anche superiori al 20%. Questi sono i segnali di prezzo che possono indurre a cambiare fornitore. Nel caso della decisione di installare un impianto fotovoltaico, però, il cliente finale dovrà fare un investimento.
Si possono immaginare attori nuovi e pacchetti finanziari nei quali un intervento esterno si giustifica grazie al risparmio ottenuto sulla bolletta? È presto per dirlo. Certo, ci troveremo di fronte a un mercato di dimensioni molto più ampie, ma anche più difficile da aggredire. Peraltro, è probabile che a un certo punto verrà chiesto ai proprietari di nuovi impianti di pagare una quota per i servizi che la rete comunque offre ritirando o fornendo energia elettrica.
Insomma, il solare fotovoltaico italiano ha ancora un periodo di espansione garantito dagli incentivi e dai prezzi calanti dei moduli. Ma deve già pensare al dopo, a come essere presente sul mercato come una qualunque commodity. Una commodity di alto pregio che aiuterà il Paese a ridurre la dipendenza dall’estero, contribuirà a limitare le emissioni climalteranti, darà occupazione e diventerà un comparto energetico importante. Anzi: strategico.
L'articolo è stato pubblicato sul n.1/2012 della rivista mensile 'Fotovoltaici', con il titolo "Solare in Italia. Un successo che apre prospettive importanti"

Crisi Gas, “Italia più sicura con le rinnovabili”

Da ZeroEmission
L’emergenza gas scattata con l’eccezionale ondata di maltempo che ha investito l’Italia evidenzia ancora una volta le tare del sistema energetico italiano, ma potrebbe anche essere l’occasione per avviare una nuova stagione di sicurezza energetica per il paese, basata sulle energie rinnovabili
Crisi Gas, ''Italia più sicura con le rinnovabili''
L’emergenza gas scattata con l’eccezionale ondata di maltempo che ha investito l’Italia evidenzia ancora una volta le tare del sistema energetico italiano, ma potrebbe anche essere l’occasione per avviare una nuova stagione di sicurezza energetica per il paese, basata sulle energie rinnovabili. A sottolinearlo con forza sono alcune associazioni del mondo delle rinnovabili, Assosolare, Asso Energie Future, Azione  Energia Solare e IFI che rappresentano molte imprese italiane del fotovoltaico. “Lo stato di allerta sui rifornimenti di gas rimane, anche se l'Italia pare stia uscendo dall'emergenza immediata. Ma solo fino alla prossima volta. - commentano in una nota congiunta - Si tratta di situazioni ormai fisiologiche, che vengono risolte in queste ore solo dalla decisione della Tunisia di rinunciare a una parte del gas algerino a nostro favore. Per questo, superata questa ennesima allerta, il Paese dovrà finalmente intraprendere un rinnovamento del proprio sistema energetico, puntando sul ruolo chiave - a livello economico, ambientale e anche strategico - delle fonti rinnovabili”.

“La mancanza di gas che periodicamente getta il paese nel panico - sottolineano le associazioni - rende evidente quello che ripetiamo da anni; puntare sulle rinnovabili, oltre che un imperativo ambientale e un investimento economico e tecnologico, è per l'Italia una necessità strategica. Con più solare, eolico, idroelettrico e biomasse non saremo più in balia degli umori di questo o quel paese o degli improvvisi cambiamenti meteo. Le famiglie non dovranno temere di vedersi tagliare il riscaldamento né le aziende dovranno mettere a bilancio i danni derivanti dai distacchi". L’auspicio è che “questa crisi – concludono - possa essere un importante momento di riflessione che funga da viatico verso una nuova stagione di sicurezza energetica per il Paese, fondata, finalmente senza più indugi, sulle fonti  rinnovabili". (f.n.)

martedì 7 febbraio 2012

Mercato eolico globale: il GWEC pubblica le statistiche del 2011

Da ZeroEmission
Nel 2011 sono stati installati 41.000 MW di capacità eolica totale. Attualmente che hanno portato a 238.000 i megawatt installati in tutto il mondo, con un aumento, rispetto a dicembre 2010, del 21%. Ancora una volta, i mercati più dinamici sono quelli di America Latina, Asia e Africa
Il GWEC, il Global Wind Energy Council, ha pubblicato le statistiche ufficiali del mercato mondiale dell’energia dal vento: secondo i dati ufficiali, nel 2011 sono stati installati 41.000 MW di capacità eolica totale. Attualmente, sarebbero circa 238.000 i megawatt installati in tutto il mondo, con un aumento, rispetto a dicembre 2010, del 21%, a fronte di un’espansione dell’industria eolica globale del 6%, con impianti commerciali situati in 75 Paesi, 22 dei quali possono vantare una capacità pari o superiore a 1 GW.

“A dispetto di un’economia globale che arranca, l’energia eolica continua a crescere – ha detto Steve Sawyer, segretario generale del GWEC – il 2011 è stato un anno difficile, così come ci aspettiamo sia anche il 2012, ma le fondamenta del settore rimangono molto solide. Per il secondo anno consecutivo, inoltre, la maggior parte delle installazioni è localizzata nei Paesi latino-americani, africani e asiatici”. In particolare, la Cina ha consolidato la propria posizione nel mercato globale, con una capacità totale che ha raggiunto i 62.000 MW, mentre l’India ha raggiunto i 16.000 MW. In Europa, nel corso del 2011, sono stati installati in tutto 9.161 MW, per un totale di 92.957 MW, sufficienti a produrre il 6,3% dell’elettricità del Vecchio continente. Spostandoci in America, negli USA, dopo un 2011 difficile, sono stati installati 6.800 MW, mentre il Canada è riuscito a sorpassare l’importante pietra miliare dei 5.000 MW. Ottimo 2011 anche per i Paesi sudamericani, Brasile, in primis, che ha aggiunto 587 MW, superando i 1.500 MW totali. In tutto il Sud America, nel 2011 sono stati installati 1.800 MW di nuova capacità eolica. (a.m.)

Dalla Toscana un vademecum per il fotovoltaico a terra

Da ZeroEmission
La proposta di delibera al Consiglio regionale approvata ieri dalla Giunta toscana è una sorta di vademecum particolareggiato per la realizzazione degli impianti a terra (> 20kW) che non riguardino aree già sottoposte a tutela dei beni culturali o paesaggistici
Dalla Toscana un vademecum per il fotovoltaico a terra
Dopo aver individuato le aree non idonee all’installazione dei moduli fotovoltaici a terra, la Toscana fa un passo avanti indicando “come” effettuare tali interventi: come cioè dovranno inserirsi gli impianti fotovoltaici al suolo nel territorio toscano. In questa direzione va la proposta di delibera al Consiglio regionale approvata ieri dalla Giunta toscana: un provvedimento che detta, dunque, criteri e modalità per l’installazione del fotovoltaico a terra allo scopo di mitigare gli eventuali impatti sul paesaggio delle installazioni tutelando “produzioni agricole e agroalimentari”, e al tempo stesso “garantendo il minore consumo possibile di suolo”, sottolinea un comunicato della Regione.

Una sorta di vademecum particolareggiato, quello licenziato ieri dall’esecutivo toscano, “per tutti gli impianti a terra eccetto quelli di potenza inferiore a 20 kW che non riguardino aree sottoposte a tutela dei beni culturali o paesaggistici”, imperniato attorno a quattro cardini: minor consumo di territorio, riutilizzo di aree degradate, progetti “ad hoc” in base alla specificità dell’area in cui l’intervento viene realizzato, e innovazione. “Ogni progettazione – sottolinea la nota – dovrà partire dall’analisi del rapporto tra l’impianto e la preesistenza dei luoghi. E poi dovrà tener conto di una serie di criteri che riguardano aspetti idrogeomorfilogici, di localizzazione, le condizioni di interferenza nei coni visivi, le modalità di recinzione, quelle per i sistemi di sicurezza, e soprattutto le caratteristiche con cui si dovranno costruire gli impianti, le infrastrutture inerenti e la viabilità di accesso". La proposta definisce infine le modalità che dovono essere osservate durante la costruzione dell’impianto e nelle successive fasi di manutenzione e quindi nella fase della dismissione in cui si deve garantire la rimessa in pristino dello stato dei luoghi. (f.n.)

Fotovoltaico in agricoltura, "Stop retroattivo contrasta con normativa Ue"

Da ZeroEmission
Lo stop agli incentivi per i moduli fotovoltaici collocati sui terreni agricoli, previsto dall’articolo 65 del dl sulle liberalizzazioni, potrebbe incorrere nell’ira di Bruxelles poiché "è retroattivo"
Assoelettrica: articolo 65 contrasta con le norme Ue
Lo stop agli incentivi per i moduli fotovoltaici collocati sui terreni agricoli, previsto dall’articolo 65 del decreto legge sulle liberalizzazioni, potrebbe incorrere nell’ira di Bruxelles poiché "è retroattivo". Questa volta a denunciarlo è stata Assoelettrica nel corso di un'audizione al Senato. Per il suo vicepresidente, Simone Mori, è condivisibile “l’intenzione del legislatore di razionalizzare gli incentivi nel settore fotovoltaico. Tuttavia l’attuale formulazione dell’articolo 65 mette a rischio la sostenibilità economica di alcune iniziative”. Tale formulazione “sembra contenere profili di illegittimità in quanto contrasta con la normativa Comunitaria che prevede il divieto di retroattività delle norme che aboliscono incentivi pubblici”. (f.n.)

Fonti rinnovabili.Linee guida approvate ma..|A.Alloni

ALLONI (PD): "PRESTO APPROVATE LE LINEE GUIDA, MA IN FORTE RITARDO E SENZA L'INDICAZIONE DELLE AREE NON IDONEE"
"La Giunta regionale lombarda sta per deliberare le Linee Guida sui procedimenti autorizzativi degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, ma con un forte ritardo e senza prevedere quali saranno le aree non idonee alla loro localizzazione". Lo annuncia Agostino Alloni, consigliere regionale del Pd, dopo che oggi, martedì 7 febbraio 2012, l'assessore regionale all'Ambiente ha risposto a un'interrogazione a risposta immediata presentata proprio dal Gruppo del Partito democratico.

Nella question time si rilevava che "nei territori della Lombardia la mancanza di Linee Guida che pongano regole di programmazione e di pianificazione, sta creando grandi problemi di carattere ambientale per il proliferare disordinato di un gran numero di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili". Inoltre, Alloni ricorda che l'8 novembre, con un emendamento al documento strategico annuale, "il Consiglio ha deliberato l'impegno a redigere Linee Guida entro il mese di gennaio 2012 e, con successivo atto, alla individuazione di aree non idonee per la localizzazione di questi impianti".
Il Pd si è fatto portavoce della "grande preoccupazione espressa anche dalle Province lombarde. E su questo Regione Lombardia è una delle poche regioni importanti che non ha adempiuto alle normative vigenti e non ha deliberato al riguardo".

All'assessore Raimondi l'interrogazione chiedeva "quali sono i motivi e le ragioni che non hanno permesso, entro i termini indicati dal Consiglio regionale, di emanare le Linee guida e il successivo documento con l'individuazione delle aree non idonee alla localizzazione, lasciando le Province e i territori della Lombardia in una gravissima difficoltà ambientale".

E sulla risposta ricevuta (la presentazione della Linee Guida sui procedimenti autorizzativi degli impianti nella prossima Giunta utile) Alloni commenta rimarcando "i ritardi che ci sono stati. In attesa dei conseguenti atti annunciati dall'assessore, ci consideriamo parzialmente soddisfatti in quanto nulla si dice riguardo il successivo atto richiesto dal Consiglio regionale al momento dell'approvazione del documento strategico annuale riferito alla individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti".

Milano, 7 febbraio 2012

Laura Sebastianutti
Ufficio Stampa Pd
Consiglio Regionale Lombardia

lunedì 6 febbraio 2012

Il mini eolico, come il fotovoltaico di sette anni fa

Da QualEnergia.it
Installare un impianto di mini eolico può rendere bene: un investimento che si ripaga in 6-7 anni e con una macchina di taglia medio-piccola può rendere oltre 20mila euro l'anno. Eppure questa tecnologia ha diversi ostacoli che la frenano e sembra quasi che soffra di una “sindrome da Cenerentola” nei confronti di rinnovabili più affermate come fotovoltaico e l’eolico di grande taglia. Ne parliamo con Carlo Buonfrate presidente del Consorzio dei produttori di energia da minieolico, CPEM.
Buonfrate, per quale tipo di investitori è più attraente il mini eolico?
Ha una grande attrattività per quel che riguarda il settore dell'agricoltura in primis. Noi stessi come consorzio rappresentiamo anche molte aziende agricole che stanno cimentandosi in questo investimento. Si tratta spesso di un modo per permettere al contadino di rimanere legato alla terra: può integrare il reddito derivante dalle coltivazioni, spesso modesto, evitando che il contadino sia costretto ad abbandonare l'attività agricola. Il minieolico poi può essere interessante anche per agriturismi, piccole imprese manifatturiere che abbiano spazi idonei o semplicemente privati investitori.
Cosa comporta e quanto rende economicamente installare una mini turbina eolica?
Facciamo l'esempio più semplice, di una macchina sotto ai 60 kW, per la quale, dall’epoca della Finanziaria 2008, basta una autorizzazione semplice. Chiaramente serve una zona con valore di ventosità di almeno 1300-1400 ore equivalenti. Ipotizzando una ventosità di 1400-1500 ore equivalenti e una macchina da 50 kW avremo una produzione di circa 80mila kWh/anno, che valorizzati dalla tariffa omnicomprensiva incentivante attuale di 30 centesimi a kWh darebbero un reddito di 24mila euro l'anno. Togliendo mille euro per manutenzione e costi assicurativi, possiamo dire che la macchina potrebbe rendere 22-23mila euro l'anno. Tenendo conto che una macchina di quella potenza ha un costo di140-150mila euro, possiamo concludere che l'investimento rientra in 6-7 anni.
Sembrerebbe un investimento attraente. Come mai allora il minieolico nel nostro paese è ancora così poco diffuso? Quali sono le barriere?
Come fonte pulita in Italia è un po' trascurata e messa in ombra dalle rinnovabili “maggiori” come il fotovoltaico o il grande eolico, mentre invece nei paesi anglosassoni già da diversi anni il minieolico è molto diffuso. Da noi c'è ancora una scarsa conoscenza e fiducia nella tecnologia: possiamo paragonare il minieolico di adesso al fotovoltaico del 2005, quando questa tecnologia era per molti ancora una sconosciuta. Altro grosso freno è la carenza di reti di bassa e media tensione, soprattutto al Sud che è anche la zona più interessante dal punto di vista della ventosità. Laddove si riesce a mettere un impianto i tempi di allacciamento dell'Enel possono essere molto lunghi e soprattutto posso presentarsi inconvenienti dovuti a sovratensione o buchi di rete che tendono a ridurre la produttività dell'impianto.
Tornando al paragone con il fotovoltaico va detto che, almeno, ai profani il minieolico sembra essere un tecnologia molto più complessa: si tratta di macchine che si muovono, possono rompersi. Altro elemento frenante infatti è la mancanza di standard costruttivi riconosciuti. Non esiste una certificazione delle macchine. E' un sistema ancora tutto da regolare dal punto di vista della qualità e dell'affidabilità delle macchine.
Quello dell'impatto ambientale e relativa non accettazione è un ostacolo?
Sì, è spesso un problema. Si tende a confondere il minieolico con il grande eolico, che spesso è soggetto ad opposizioni, a volte propriamente, ma più spesso impropriamente. Ma sia per l'aspetto visivo che per quello del rumore il minieolico ha impatti completamente diversi e quasi trascurabili.
Ma a cosa va incontro nella pratica chi decide di installare una turbina: come si deve procedere? Sappiamo che a volte sono necessarie analisi anemometriche preventive che costano diverse migliaia di euro.
Nei primi siti in cui è stato installato si procedeva impropriamente partendo dalle autorizzazioni: si faceva autorizzare un sito per poi scoprire che l'Enel non garantiva l'allacciamento o offriva un allacciamento lontano e molto costoso. Oggi si fa l'opposto: ci si accerta della disponibilità e della convenienza della connessione e solo dopo si richiede l'autorizzazione che, se non ci sono vincoli ambientali o paesaggistici particolari tramite la procedura semplificata, arriva entro 30 giorni.
Cosa mi dice sulla questione dell'accesso al credito? E facile farsi finanziare da un banca una piccola turbina?
Venendo io dal mondo bancario, ricordo bene la ritrosia con cui le banche negli anni dal 2005 al 2007 concedevano finanziamenti al fotovoltaico. Poi, in seguito, lo hanno invece finanziano abbondantemente. Il minieolico come dicevo è ancora fermo al 2005, e a differenza del grande eolico, le banche non lo conoscono bene. Questo atteggiamento dovrà cambiare e si potrà farlo assieme allo sviluppo di regole come quelle cui accennavo prima sulla certificazione delle macchine. Man mano che il settore si darà un ordine e delle regole le banche finiranno per accettare di finanziare anche progetti in cui la valutazione anemometrica non ci sia. Non sempre infatti è necessaria un analisi anemometrica approfondita che duri uno o due anni: si può valutare in maniera induttiva, incrociando dati già esistenti. La bancabilità oggi è un grande problema per il minieolico, ma è un problema superabile. Come CIPEM stiamo lavorando assieme alle banche e alle società che fanno due diligence per creare una certificazione poco costosa e che i nostri associati possano usare per ottenere in modo più semplice i finanziamenti a favore dei loro clienti.
Come è strutturata la filiera del minieolico in Italia? È un settore con una propria industria nazionale o si trovano più che altro operatori stranieri?
Diversamente che in altri settori delle rinnovabili gran parte delle installazioni di minieolico in Italia è fatto con macchine italiane. Anzi, le aziende italiane vendono molto anche all'estero. Abbiamo una filiera italiana molto importante con centinaia di persone impiegate nella produzione sia a nord che a sud. Qui parliamo di macchine che si muovono, delicate, che richiedono molta affidabilità, per cui c’è meno spazio che in altri settori per prodotti low-cost provenienti dall'oriente.
A tal proposito torniamo al discorso della certificazione. Nel fotovoltaico gli impianti devono essere certificati per ricevere l'incentivo. Una soluzione del genere potrebbe fare bene anche al mini eolico? Quali altre richieste politiche state portando avanti come CPEM?
Nel fotovoltaico si è arrivati a rendere la certificazione obbligatoria solo con il quarto energia; per il minieolico, come dicevo, siamo indietro. Stiamo lavorando in questa direzione. Un’altra questione che stiamo sollevando è questa: il reddito di un impianto fotovoltaico in un impresa agricola è considerato reddito agricolo e quindi non è tassato. Non accade la stesso per  quello che viene da un impianto minieolico forse perché il minieolico non ha ancora raggiunto numeri tali da far considerare il problema.
QualEnergia.it pubblicherà a fine febbraio una Guida tecnica dedicata alla scelta e alla installazione delle Mini Turbine Eoliche (1-200 kW), utilizzando le esperienze maturate nella pluriennale gestione del campo eolico sperimentale di Trento. La guida è rivolta soprattutto a cittadini e imprese. Vai alla presentazione.

Corsa alle rinnovabili: riflettori puntati sull'India

Da ZeroEmission
Nella corsa alle rinnovabili riflettori puntati sull’India, che l’anno scorso ha fatto registrare la crescita maggiore negli investimenti in energia pulita: un’impennata del 52% grazie alla quale hanno raggiunto nel paese il livello record di 10,3 miliardi di dollari dai 6,8 miliardi del 2010
Bloomerg: nel 2011 all'India regina degli investimenti in energia verde
Nella corsa alle rinnovabili riflettori puntati sull’India, che l’anno scorso ha fatto registrare la crescita maggiore negli investimenti in energia pulita: un’impennata del 52% grazie alla quale hanno raggiunto nel paese il livello record di 10,3 miliardi di dollari dai 6,8 miliardi del 2010. Dopo aver fornito i risultati sul nuovo anno record per gli investimenti nelle rinnovabili, che non hanno risentito della crisi, in una nuova analisi Bloomberg New Energy Finance si sofferma sull’India, nuova stella del firmamento delle rinnovabili, dove l’anno scorso si è concentrato il 4% degli investimenti globali in energia verde. Una crescita impressionante spinta da un incremento di circa sette volte dei finanziamenti destinati agli impianti per la produzione di energia solare connessi alla rete: da 600 milioni di dollari nel 2010 a 4,2 miliardi di dollari dell’anno scorso. Quasi allo stesso livello dell’eolico (4,6 miliardi di dollari) – sottolinea Bnef – settore in cui tuttavia l'India è ai vertici mondiali. Per Ashish Sethia, analista capo di Bnef per quanto riguarda il paese, “il record è dovuto a una maggiore competitività per i costi delle energie rinnovabili e alle politiche di sostegno come il Jawaharlal Nehru National Solar Mission". In generale, le preoccupazioni riguardo un possibile impatto della crescita dei tassi di prestito sugli investimenti nelle energie rinnovabili si sono rivelate prive di fondamento.

E così se la crescita della capacità eolica ha fatto registrare un nuovo record (2.827MW in più l’anno scorso rispetto ai 2.140MW del 2010) – il che pone l’India al terzo posto per nuova capacità eolica installata dopo la Cina e gli Stati Uniti - ancor più sorprendente è il boom dell’energia solare, almeno considerando i numeri a cui era abituata negli anni scorsiil paese: si è passati da 18 MW installati nel 2010 a circa 277 MW stimati per il 2011 e per il 2012, Bnef stima un nuovo installato tra i 500 e i 750 MW. Secondo Bloomberg, il target per le energie rinnovabili, previsto dall’undicesimo piano quinquennale che va dall’aprile 2007 al marzo 2012, (un totale di 12,4 GW di nuova capacità verde connessa alla rete), sarà dunque superato grazie a 14,2 GW installati durante questo periodo. Ricorda Sethia che il boom delle rinnovabili in India mostra come le fonti pulite siano diventate competitive in un periodo in cui il paese ha difficoltà a raggiungere i propri target per l’energia convenzionale: per portare avanti questo trend favorevole, il governo federale e dei singoli stati indiani devono fare quattro cose: “la prima, che le linee di trasmissione siano disponibili per nuovi progetti; la seconda, che la rete possa accogliere un flusso di energia verde maggiore; terzo, che gli obblighi di acquisto delle rinnovabili siano rafforzati e quarto, infine, che gli svuluppatori di progetti siano pagati in tempo per l’energia che producono”. (f.n.)

Rinnovabili, "Italiani disposti a pagare per godere dei loro vantaggi"

Da ZeroEmission
Otto italiani su dieci disposti a spendere pur di abbandonare l’utilizzo delle costose energie tradizionali e approfittare dei risparmi garantiti da quelle pulite. La conferma arriva da una ricerca commissionata da Ener20 a Nextplora
Rinnovabili, ''Italiani disposti a pagare per godere dei loro vantaggi''
Italiani disposti a pagare per godere dei vantaggi dell’energia verde. A confermarlo è Ener20, società attiva nel settore, che presenta i risultati di una ricerca commissionata a Nextplora: dall’indagine emerge che quasi 8 italiani su 10 sarebbero disposti a spendere pur di abbandonare l’utilizzo di energie tradizionali ed investire in quelle pulite. La principale motivazione addotta è la necessità di ridurre l’inquinamento ma soprattutto di tagliare le bollette. All'ipotesi ad esempio di pagare “2,5 euro al mese”, pur di sviluppare le energie rinnovabili e risparmiare in futuro, quasi tutti si sono dichiarati favorevoli. Un risultato importante tanto più se si considera che, sempre da quanto emerge dall’indagine, solo il 6% e il 4% di uomini e donne (rispettivamente) non sosterrebbe tale spesa.

Un impegno che vede più motivati gli uomini (40%), i giovani tra i 18 e 24 anni (45%) e chi vive al Sud o nelle Isole (40%), oppure in comuni dai 20.000 ai 100.000 abitanti (41%). Nonostante qualche perplessità in più sulla spesa da sostenere, anche l’universo femminile italiano si conferma attento alla problematica in oggetto: quasi la metà delle donne (49%) risponde che “probabilmente” pagherebbe il corrispettivo di 2,5 euro al mese per abbandonare petrolio, gas, carbone e nucleare, mentre il 30% dice che lo farebbe “certamente”. Dati che trovano riscontro nella propensione degli italiani all’installazione di impianti fotovoltaici, sistemi che sfruttano l’energia del sole per produrre energia elettrica: ben il 77% dichiara di voler installare questa tipologia di impianto elettrico nella propria abitazione, con un apprezzabile 80% di donne. Il motivo? Sempre il conto in banca: la maggior parte degli intervistati conta infatti di poter raggiungere,  in futuro, un risparmio maggiore (76%). Solo il 10% di italiani crede infatti che non si risparmi praticamente nulla installando un impianto fotovoltaico. "Sono veramente contento di vedere che dalla ricerca emerge un paese capace di dare priorità alle tematiche legate alle energie rinnovabili, con la disponibilità delle persone a pagare un piccolo costo per generare nel medio periodo risparmi economici per sé e per gli altri e miglioramenti ambientali. Notizia che, in un periodo di crisi economica, risulta quasi clamorosa - commenta Gianluca Lancellotti, amministratore delegato di Ener20. “La nostra società anticipa i tempi della rivoluzione energetica in corso: quella che vede i clienti trasformarsi in imprenditori, in grado di autoprodurre energia rinnovabile con impianti solari residenziali, per soddisfare i propri consumi e riversare l’eccedenza in rete, tagliando i costi della bolletta, senza spese aggiuntive per l’installazione e la gestione”. (f.n.)

domenica 5 febbraio 2012

Fotovoltaico, allarme dei sindacati: Solon chiude la produzione

Da ZeroEmission
Sindacati in agitazione: l’azienda avrebbe comunicato la decisione di mettere in cassa integrazione straordinaria 80 dei 180 dipendenti della società. "Bloccata di fatto alla Solon la produzione di moduli fotovoltaici"
Fotovoltaico, Solon di Padova: stop alla produzione?
Nubi nere si addensano sul futuro della Solon Spa: potrebbe essere giunta la parola fine sulla produzione di moduli fotovoltaici nello storico stabilimento presso Carmignano del Brenta (Padova), aperto nel 1994 dall’imprenditore padovano Domenico Sartore, oggi della filiale italiana del gruppo tedesco Solon AG, con sede centrale a Berlino. L’allarme lanciato dai sindacati lascia pochi dubbi in proposito: la situazione era già in bilico ma è peggiorata negli ultimi giorni portando l’azienda a mettere in cassa integrazione straordinaria 80 dei 180 dipendenti della società, conseguenza delle nuove direttive arrivate da Berlino: stop alla produzione dei moduli fotovoltaici in Italia. “Solon ha comunicato a Confindustria che attiverà la cassa integrazione straordinaria per 80 dei 180 lavoratori. Questi 80 lavoratori – spiegano Andra Bonato (Fim Cisl) e Gloria Berton (Fiom Cgil) – che attualmente sono in cassa integrazione ordinaria, si sommano ai circa 70 interinali ai quali non è stato rinnovato il rapporto di lavoro. Di fatto Solon blocca la produzione di pannelli. Ed ora temiamo anche una pesante ristrutturazione del centinaio di lavoratori dell'area impiegatizia”.

Una doccia fredda che ora induce a interrogarsi sul destino della società. Che fosse un periodo difficile per il produttore fotovoltaico berlinese era risaputo: a metà dicembre ha avviato la procedura d’insolvenza che tuttavia, secondo quanto assicurato da Solon Spa, non riguardava la filiale italiana. Su quest’ultima ha però pesato l’incertezza normativa dei mesi scorsi fin dall’approvazione del dlgs 28/2011 che aveva messo profondamente in crisi l’intero comparto. Ora “si concretizza il peggiore dei nostri sospetti”, sintetizza Berton della Fiom Cgil, e cresce la preoccupazione anche per la tenuta degli altri comparti dell’azienda. Sale intanto la rabbia dei lavoratori: non solo quelli di Solon, ma anche delle altre aziende del distretto fotovoltaico padovano che conta circa 5.000 lavoratori con l’indotto. Si sono riuniti oggi a Carmignano per protestare non solo contro l’assenza di tutele nei confronti del settore ma contro quelle che appaiono delle vere e proprie “azioni di boicottaggio”, come l’ormai famigerato articolo 65 del decreto sulle liberalizzazioni che infligge un nuovo colpo al settore. (f.n.)

venerdì 3 febbraio 2012

Energia rinnovabile con "pompe da bici"

Prototipo in mare, nel Regno Unito
Energia rinnovabile con pompe da bici
Un meccanismo che si ispira alle più semplici pompe da bicicletta per spingere l'acqua marina verso generatori di corrente collocati sulla terra ferma: potrebbe essere la nuova frontiera delle energie rinnovabili. Un prototipo di quello che è stato chiamato il Searaser è stato approntato nel Regno Unito su disegno di un geniale inventore, Alvin Smith.

Si tratta di una pompa ancorata al fondo marino (l'altezza è di 18 metri) che muove lo stantuffo grazie all'energia derivante dalle onde. Il grande vantaggio, secondo Smith, rispetto agli altri sistemi creati per produrre elettricità sfruttando le onde marine o le maree è che in questo caso il generatore non si trova in mare ma sulla terra. "Se si mette un motore in mare deve venire completamente sigillato.

L'acqua e l'elettricità non possono mescolarsi; l'acqua marina è particolarmente corrosiva e per questo simili tecnologie sono dispendiose e fragili", ha spiegato Smith al Guardian. Inoltre le pompe non necessitano di inquinante lubrificazione. A trasformare l'invenzione in una tecnologia che produca energia pulita a un prezzo più basso di quanto si sia mai riusciti a fare fino ad ora intende pensare la società Ecotricity. Secondo il fondatore di questa società Dale Vince, l'obiettivo è mettere in funzione 200 pompe con relativi generatori a terra entro cinque anni. Ogni pompa è in grado di fornire elettricità pari al fabbisogno di un migliaio di abitazioni. E, a differenza di altre fonti di energia rinnovabile, la fornitura è continua e regolare, così come senza interruzione è il movimento del mare.
(ANSA)

Da "Vivere Assisi". Biogas, la giunta di Assisi dice no all'impianto di Costano

L’Assessore all’Urbanistica di Assisi Moreno Fortini ha espresso parere contrario rispetto alla procedura abilitativa semplificata relativa alla costruzione di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile alimentata a biogas che dovrebbe sorgere a Costano, nei pressi di Tordandrea.
“La Giunta Comunale della Città di Assisi è concorde nell’esprimere il proprio dissenso alla costruzione per diversi motivi” dichiara l’Assessore Fortini “innanzi tutto, in quanto la frazione di Tordandrea ricade in area buffer del Piano di Gestione del Sito Unesco, essendo assoggettata ad una gestione che prevede gli obbiettivi di fondo, di conoscenza, conservazione, valorizzazione, promozione e monitoraggio dei beni e dei valori presenti entro tali ambiti.

Ma a questa considerazione, si aggiunge il rispetto nei confronti delle linee guida per la qualità del paesaggio di Assisi, anche in riferimento al quadro della pianificazione paesaggistica provinciale e regionale”.

“Dal momento che la struttura in oggetto, sebbene da realizzare al di fuori del perimetro del territorio comunale assisano, potrebbe avere un effetto impattante sul territorio del Comune di Assisi dichiarato Patrimonio Mondiale Unesco, non si esclude la possibilità di segnalare la problematica presso la sede centrale Unesco di Parigi” aggiunge il Sindaco Ricci, anche in qualità di Presidente dell’Associazione Città e Siti Italiani Unesco “con il conseguente coinvolgimento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Regione dell’Umbria”.

Un altro comitato anti biogas A Portomaggiore una petizione si oppone alla costruzione di una seconda centrale

Azione preventiva.
La notizia uscita nel mese di dicembre sulla presunta costruzione di una seconda centrale a biogas nel territorio di Portomaggiore, ovvero tra le frazioni di Quartiere e Montestanto, ha scatenato le prime iniziative dei cittadini.
Nelle settimane scorse, un nucleo molto attivo ha preparato una lettera aperta sulle problematiche e criticità che un impianto del genere potrebbe causare su territorio e abitanti. La lettera è stata firmata da 130 persone e inviata in queste ore alle principali figure istituzionali di Provincia e Comuni: alla presidente della Provincia, Marcella Zappaterra, e agli assessori all’ambiente e turismo, nonché ai sindaci di Minarelli e Fioresi insieme agli assessorati affini in materia di centrali a biogas. Nonostante non siano ancora state presentate domande ufficiali, i cittadini hanno già cominciato a interessarsi attivamente della questione per evitare che la zona, ricca di coltivazioni Dop come l’aglio di Voghiera, di corsi d’acqua importanti per l’irrigazione, di agriturismi e centri di sviluppo faunistico, di abitazioni sparse nella campagna, venga deturpata da un «impianto pericoloso sia per il forte impatto ambientale, sia per la criticità dell’approvvigionamento».
Infatti, come è stato scritto a più riprese, la centrale a biogas non sarebbe autosufficiente, perché nascerebbe in un’area di 2,6 ettari, con spazio solamente per l’impianto stesso, lontana da allevamenti zootecnici e con scarsa assistenza di biomasse vegetali.
L’approvvigionamento arriverebbe da fuori, attraverso una rete stradale incredibilmente limitata per i mezzi pesanti, che giornalmente dovrebbero far da spola tra aziende di fornitura e centrale. Il dissesto della delicata rete stradale è una preoccupazione anche per gli stessi amministratori portuensi, mentre il pericolo d’invasione alla tutela dell’aglio Dop voghierese è una problematica affrontata dal sindaco Fioresi, per non parlare dell’Oasi La Fagianella di Montesanto.

Entro la fine dell’anno, 700-800 impianti di biogas in funzione in Italia.

Cresce anche l’interesse per la produzione di biometano. Piccinini (CRPA): “Dalle biomasse di scarto si potrebbe raddoppiare la produzione di gas metano in Italia.”
Aggiornamenti, soluzioni, e prospettive del biogas e delle altre forme di produzione di energia da fonti rinnovabili si potranno trovare a Cremona in occasione di BioEnergy Italy (15-17 marzo 2012).
Attualmente in Italia si contano decine di impianti di biogas in fase di costruzione. “Nel maggio dello scorso anno abbiamo fatto un censimento a livello nazionale  – spiega Sergio Piccinini, ricercatore del Crpa di Reggio Emilia (Centro Ricerche Produzioni Animali) – e ai 500 impianti già realizzati e pienamente operativi se ne aggiungevano altri 150 in fase di realizzazione. Al momento, secondo una nostra stima, se ne contano altri 100-200 in costruzione che in totale porterebbero, entro la fine di quest’anno, a un numero oscillante tra i 700 e gli 800 impianti. Per non parlare dei progetti in cantiere che potrebbero partire non appena si sbloccherà la situazione sugli incentivi”.
I numeri legati alla produzione di energia elettrica ottenuta da impianti di biogas sono di tutto rispetto: “A maggio 2011 – continua Piccinini – dagli impianti alimentati solo con scarti agrozootecnici si arrivava a una produzione di 350 MW, che raddoppiava quando si consideravano anche le strutture alimentate con altri tipi di scarti. Una produzione a mio giudizio comunque sottostimata rispetto a quello che è invece possibile ottenere”.
Ma dagli impianti di biogas non esce solo energia elettrica. L’interesse, notevole, è rivolto anche alla produzione di biometano destinato all’energia termica. “Un metano decisamente migliore rispetto a quello immesso normalmente in rete perché più pulito – sottolinea Piccinini. Con le potenzialità calcolate, dalle biomasse di scarto potremmo raddoppiare la produzione di gas metano prodotto in Italia che attualmente oscilla intorno ai 7 miliardi di metri cubi. Stimiamo infatti che se ne potrebbero produrre altri 6-7 miliardi che, per l’appunto, porterebbe a circa 14 miliardi di metri cubi il totale prodotto sul territorio nazionale, un quantitativo che si traduce in punti percentuali importanti visto che quasi l’85% del fabbisogno è importato”.
Ci sono dunque molti punti da approfondire sul settore del biogas e sul sistema delle fonti rinnovabili, non solo per quanto riguarda le tecnologie e le soluzioni, ma anche per quanto concerne le questioni politiche e normative. L’occasione in cui tutti gli operatori del comparto si preparano a farlo è BioEnergy Italy (Cremona, 15-17 marzo 2012), il punto di riferimento italiano per le fonti rinnovabili, che rappresenta il palcoscenico più importante per un approfondimento scrupoloso e dettagliato di tutte le opzioni che il mondo delle energie rinnovabili riserva.

Le fonti rinnovabili sottraggono terreni al paesaggio agrario

Il Comitato locale del forum salviamo il paesaggio difendiamo i territori condivide la preoccupazione recentemente espressa da Coldiretti Cremona in merito al dilagare incontrollato nelle nostre campagne di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, a grave detrimento non solo del paesaggio agrario, ma anche del reddito di coltivatori e allevatori e del benessere dell’intera comunità.  L’obiettivo di incrementare l’utilizzo di fonti energetiche non dannose per l’ambiente ci vede strenuamente concordi, ma ciò non deve avvenire a discapito del consumo di un bene comune sempre più scarso, la terra fertile. La tradizionale organizzazione produttiva della nostra agricoltura, la sua dotazione di cascine, stalle e tettoie è agevolmente in grado di ospitare installazioni di impianti fotovoltaici che soddisfino le esigenze delle aziende rurali integrando proficuamente, anche dal punto di vista urbanistico,  la produzione energetica all’attività agricola. Distese di silicio sempre più frequentemente ricoprono prati e campi; cisterne, serbatoi e trincee di servizio alla cosiddetta bioenergia stravolgono il tradizionale ambiente rurale e, soprattutto, sottraggono terreni alla coltivazione di vegetali destinati all’alimentazione umana ed animale. Solo la speculazione ne trae vantaggio.
La progressiva scomparsa di prati stabili, convertiti alla produzione di mais destinato alla combustione o utilizzati solo come piano di appoggio di strutture atte ad ospitare (temporanei?)  pannelli fotovoltaici, è fenomeno davvero inquietante che va senza indugio arrestato. Viene meno il polmone verde della pianura e diminuisce la capacità dell’area di assorbire CO2: i benefici per l’atmosfera derivanti dall’impiego di  energie “verdi” vengono in buon parte annullati e diventa sempre meno “sostenibile” il modo in cui impieghiamo il più importante tra i fattori produttivi, la terra.
Numerosi Consigli comunali, molte associazioni hanno già espresso un simile sentire: ci auguriamo che l’intera comunità della provincia si schieri a tutela del proprio territorio e di un’organizzazione della attività agricola che, radicata in secoli di lavoro delle generazioni precedenti, continui ad offrire possibilità di buona vita alle generazioni future. Ci impegniamo come comitato della provincia di Cremona a sollecitare tutti gli enti locali ad approvare mozioni e ordini del giorno volti ad impedire nuove installazioni di impianti per il biogas e di “campi fotovoltaici”; ci auguriamo che movimenti, associazioni e singoli cittadini vogliano darci una mano. Possono prendere contatto con noi rivolgendosi agli indirizzi email in calce o cercando i referenti per la provincia di cremona su http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/info_sul_forum/comitati-locali/

Salviamo il paesaggio-Difendiamo i territori
Comitato del cremonese, cremasco e casalasco

Fissati contributi regionali al raggiungimento del target 20/20/20

In discussione la bozza di decreto sul burden sharing atta a definire i contributi di ogni ente locale al fine di raggiungere il target del 20-20-20.
Secondo quanto stabilito e definiti gli obiettivi europei del 20-20-20, l'Italia dovrà raggiungere il 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili, sul totale della propria produzione energetica, entro il 2020. Per questo sono stati stabiliti i contributi che ogni singola regione dovrà apportare al fine di raggiungere tale soglia.
Arduo il compito della Basilicata, la quale al momento attuale può contare solo il 7,9% di energia prodotta da rinnovabili, infatti entro il 2020 dovrà raggiungere il tetto del 33%. Il contributo maggiore alla causa italiana sarà apportato dalla Valle d’Aosta con il 52%, regione che comunque dovrà sforzarsi ben poco rispetto l'attuale produzione: l'incremento previsto per il 2020 è maggiore soltanto dell'1%. Altra regione con  apporto maggiore sarà il Molise con il 36,5% e le Province di Trento e Bolzano con 36,5% e 35,5% rispettivamente.
I consumi e il potenziale tecnico-economico di ogni singola realtà locale influiranno sulla quantificazione degli obiettivi da raggiungere.
Ragionando in termini di sanzioni previste, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, la bozza di DM ha definito in proiezione futura lo sviluppo di metodologie funzionali al monitoraggio degli obiettivi annuali. Per non incorrere appunto nelle sanzioni: con le regioni inadempienti sarà aperto un contraddittorio, a quel punto sarà il consiglio dei ministri a stabilire ulteriori sei mesi per provvedere. Al termine dei sei mesi, dopo opportune verifiche, la regione recidiva nell'inadempienza attiverà lo scatto di un potere sostitutivo del Governo, con eventuale commissariamento.
Le prime verifiche sono state previste per il 2014, le realtà locali che si discosteranno dagli obiettivi prefissati, per tale data, in una misura superiore al 30%, attiveranno un meccanismo di analisi: si valuterà se l'inadempimento sia stato causato da misure inadeguate o poco efficaci, oppure se gli obiettivi necessitano di essere revisionati dal Ministero dello Sviluppo Economico.

Geotormia, Ugi: "Preoccupazione per la riforma degli incentivi"

Anche nel settore della geotermia monta la preoccupazione: il Governo avrebbe intenzione di ridurre gli incentivi anche a questo comparto. Gli effetti disastrosi di una tale decisioni sono stati illustrati dall'Unione Geotermica Italiana in un incontro ieri al Mise
Ugi: boom del settore a rischio
Anche nel settore della geotermia monta la preoccupazione: il Governo avrebbe infatti intenzione di ridurre gli incentivi al comparto, come si evince dai lavori per la definizione del nuovo decreto ministeriale sugli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (provvedimento in attuazione del dlgs 28/2011). Una preoccupazione espressa ieri da una delegazione dell’UGI (Unione Geotermica Italiana) in occasione di un incontro con la Direzione Generale Energie Rinnovabile ed  Efficienza Energetica del Ministero dello Sviluppo Economico. L'UGI ha illustrato le problematiche generali che oggi condizionano gli usi della risorsa geotermica sia nel settore elettrico che per le applicazioni termiche e ha presentato i contenuti di un documento sull’incentivazione per la generazione geotermoelettrica, predisposto nei giorni scorsidurante una riunione svoltasi il 31 gennaio, che ha visto una larghissima partecipazione degli operatori geotermici italiani. Emergono da un lato le prospettive di un settore in pieno sviluppo: in poco più di due anni sono state presentate in Italia, da circa una trentina di imprese italiane e straniere, più di 110 richieste per nuovi permessi di ricerca di risorse geotermiche per la produzione di energia elettrica. Un vero e proprio boom di richieste che non ha precedenti nella storia italiana. Dall’altro si evincono i rischi derivanti dalla mancanza di un’adeguata politica di sostegno accompagnata dalla semplificazione delle procedure autorizzative in termini sia di perdita investimenti sia di posti di lavoro. Rischi che si concretizzerebbero se fossero confermate le attuali bozze in circolazione del suddetto decreto che “prevedono – spiega l’Ugi - livelli di incentivazione della produzione di energia da fonte geotermica molto inferiori rispetto a quelli attualmente assicurati dai certificati verdi e dalla tariffa omnicomprensiva (per gli impianti fino a 1 MW)”, e che sono alla base dell’attuale boom di richieste.

Secondo l’Ugi, bisogna considerare anche “i livelli di incentivazione oggi esistenti nei paesi europei più importanti come Germania e Francia”, garantendo il sostegno necessario allo sviluppo di una filiera nazionale che avrebbe ricadute positive sull’industria nazionale. “La riduzione egli incentivi porterebbe una contrazione degli investimenti anche nel rinnovo degli impianti esistenti con conseguenze occupazionali sull'indotto già esistente, con forti negatività sociali, nelle zone geotermiche tradizionali”. Un’altra considerazione è legata al potenziale produttivo delle iniziative programmate da investitori nazionali ed estere che, sottolinea al’Ugi, “potrebbe andare molto al di là di quanto previsto nel Piano di Azione italiano per le fonti rinnovabili (Pan) già nell’arco di 10 anni, anche sviluppando impianti di generazione onshore ed offshore”. (Sull'argomento confronta anche l'articolo di Zeroemission: Geotermia, “Con i tagli agli incentivi a rischio un miliardo di investimenti”) (f.n.)

Fotovoltaico, allarme dei sindacati: Solon chiude la produzione

Sindacati in agitazione: l’azienda avrebbe comunicato la decisione di mettere in cassa integrazione straordinaria 80 dei 180 dipendenti della società. "Bloccata di fatto alla Solon la produzione di moduli fotovoltaici"
Fotovoltaico, Solon di Padova: stop alla produzione?
Nubi nere si addensano sul futuro della Solon Spa: potrebbe essere giunta la parola fine sulla produzione di moduli fotovoltaici nello storico stabilimento presso Carmignano del Brenta (Padova), aperto nel 1994 dall’imprenditore padovano Domenico Sartore, oggi della filiale italiana del gruppo tedesco Solon AG, con sede centrale a Berlino. L’allarme lanciato dai sindacati lascia pochi dubbi in proposito: la situazione era già in bilico ma è peggiorata negli ultimi giorni portando l’azienda a mettere in cassa integrazione straordinaria 80 dei 180 dipendenti della società, conseguenza delle nuove direttive arrivate da Berlino: stop alla produzione dei moduli fotovoltaici in Italia. “Solon ha comunicato a Confindustria che attiverà la cassa integrazione straordinaria per 80 dei 180 lavoratori. Questi 80 lavoratori – spiegano Andra Bonato (Fim Cisl) e Gloria Berton (Fiom Cgil) – che attualmente sono in cassa integrazione ordinaria, si sommano ai circa 70 interinali ai quali non è stato rinnovato il rapporto di lavoro. Di fatto Solon blocca la produzione di pannelli. Ed ora temiamo anche una pesante ristrutturazione del centinaio di lavoratori dell'area impiegatizia”.

Una doccia fredda che ora induce a interrogarsi sul destino della società. Che fosse un periodo difficile per il produttore fotovoltaico berlinese era risaputo: a metà dicembre ha avviato la procedura d’insolvenza che tuttavia, secondo quanto assicurato da Solon Spa, non riguardava la filiale italiana. Su quest’ultima ha però pesato l’incertezza normativa dei mesi scorsi fin dall’approvazione del dlgs 28/2011 che aveva messo profondamente in crisi l’intero comparto. Ora “si concretizza il peggiore dei nostri sospetti”, sintetizza Berton della Fiom Cgil, e cresce la preoccupazione anche per la tenuta degli altri comparti dell’azienda. Sale intanto la rabbia dei lavoratori: non solo quelli di Solon, ma anche delle altre aziende del distretto fotovoltaico padovano che conta circa 5.000 lavoratori con l’indotto. Si sono riuniti oggi a Carmignano per protestare non solo contro l’assenza di tutele nei confronti del settore ma contro quelle che appaiono delle vere e proprie “azioni di boicottaggio”, come l’ormai famigerato articolo 65 del decreto sulle liberalizzazioni che infligge un nuovo colpo al settore. (f.n.)
Rapporto ONU integrale

Verso Rio, la ricetta Onu per cambiare l'economia

La popolazione mondiale passerà dai 7 miliardi attuali a 9 entro il 2040, dei quali 3 consumeranno ai livelli attuali dei paesi ricchi. Entro il 2030 il mondo avrà bisogno del 50% in più di cibo, del 45% in più di energia e del 30% in più di acqua. Una svolta verso la sostenibilità del sistema economico mondiale non è un'opzione ma una condizione imprescindibile per avere un futuro degno di tale nome. Ne prende atto anche l'ultimo report Onu, “Resilient People, Resilient Planet: A Future worth Choosing (Persone resilienti, pianeta resiliente: un futuro che vale la pena scegliere), presentato ieri, e da cui vengono questi dati (vedi allegati).
“Oggi – si legge nell'introduzione – vediamo sempre più chiaramente sulla stessa agenda la crescita economica, la protezione dell'ambiente e l'equità sociale. E' l'agenda dello sviluppo sostenibile. Non possiamo fare progressi in un campo senza farlo in tutti”. E poi via, con 56 raccomandazioni per la sostenibilità: dal rimuovere i sussidi alle fonti fossili al dare un prezzo alla CO2 in tutto il mondo, passando per la definizione di nuovi indicatori economici che tengano conto della sostenibilità ambientale. Il rapporto è stato realizzato in vista del summit di Rio di giugno, dopo una preparazione durata un anno (Il 16 febbraio il Kyoto Club organizzerà il suo convegno annuale proprio su questi temi).
Nel panel, presieduto dal presidente del Sud Africa, Jacob Zuma, e dalla presidentessa finlandese, Tarja Halonen, troviamo anche l'ex primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland, autore di quel Rapporto Brundtland Il futuro di noi tutti” (1987) di cui questo nuovo documento si pone come seguito ideale e che fu base dell’originaria Conferenza di Rio del 1992, per molti considerata il punto di partenza del movimento globale per la sostenibilità.
Negli ultimi 25 anni, si legge nel nuovo report, sono stati fatti diversi progressi, ma certo non sono adeguati alle necessità. “Le economie vacillano. L'ineguaglianza aumenta. La temperatura del pianeta continua a crescere”, scrive la Halonen nella prefazione. Serve una cura, ed ecco la ricetta del panel Onu, in 56 punti. Non certo idee nuovissimi, ma che è significativo sentire ribaditi come priorità dall'Onu.
Si parla ad esempio della necessità di eliminare al più presto i sussidi alle fonti fossili che “distorcono i mercati, danneggiano l'ambiente e fanno aumentare le emissioni”. Una raccomandazione, per inciso, che da tempo sta rilanciando anche la International Energy Agency. Nel 2009, quantifica il report Onu, sono stati circa 412 miliardi di dollari gli aiuti alle fonti sporche di cui solo l'8% ha raggiunto il 20% più povero della popolazione mondiale.
Altro punto, le esternalità negative, a partire dalle emissioni di CO2, che dovrebbero essere incluse nel prezzo dei combustibili fossili, sia sotto forma di carbon tax o di carbon trading. Anche per tutti i beni l'impatto ambientale dovrebbe essere incluso nel prezzo e indicato in etichetta in modo da permettere al consumatore di scegliere.
Dall'Onu arriva poi un invito a mettere in pratica il green public procurement, ossia l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di adottare criteri di sostenibilità ambientale nell'acquisto di beni o servizi. Un obbligo che nel nostro paese è stato introdotto in maniera parziale in diverse normative, ma che nella pratica resta spesso sulla carta. Altra raccomandazione: promuovere economicamente le tecnologie pulite, anche cercando partnership tra pubblico e privato.
A livello generale le raccomandazioni dell'Onu vanno tutte verso una riforma dell'economia per far sì che includa il più possibile l'aspetto ambientale.  Importante, ad esempio, l'invito a definire un indice di sviluppo sostenibile “oltre il PIL” o una serie di indicatori da sviluppare entro il 2014. Si deve poi, suggerisce il documento, incentivare l'inclusione di criteri di sostenibilità sul lungo termine negli investimenti e nelle transazioni delle aziende: i report sull'impatto ambientale dovrebbero essere obbligatori almeno per le società con capitale oltre i 100 milioni di dollari.
Insomma, le indicazioni del report sembrano valide. Peccato manchino accenni a obiettivi e limiti vincolanti. Questa è anche la posizione di WWF Italia. Positive, per l'associazione tutte raccomandazioni per creare un economia verde. Bene anche le azioni suggerite per creare una cornice istituzionale coerente. Ma il WWF è “preoccupato perché mentre le raccomandazioni per la riforma economica e istituzionale sono positive, il rapporto fallisce nel suggerire impegni di progresso concreti e con vincoli di tempo, lasciando ai governi la libertà di implementare le policy nel modo da loro ritenuto più conveniente.”

Biogas, è possibile superare 1.200 MW installati al 2020

In Italia a fine 2011 c’erano oltre 500 impianti a biogas per una potenza complessiva superiore ai 550 MW. Nel 2011 considerando sia gli impianti a biogas da scarti agricoli che quelli da discarica, il numero degli impianti installati rispetto al 2010 è aumentato del 13%, mentre la potenza è cresciuta del 20%. Interessante è rilevare che il numero degli impianti a biogas di sola origine agricola sia aumentato del 60% in anno.
Sono dati riportati in un articolo nel numero di dicembre 2011 di GreenBusiness che spiega come tutte le associazioni coinvolte nella filiera biogas-biometano (Cib-Consorzio Italiano Biogas, Aiel, Aper, Cia, Confagricoltura, Crpa, Fiper, Itabia e Dal) in un documento congiunto dicono di puntare ad un obiettivo di almeno 1.200 MW al 2020. Una potenza che potrebbe anche raddoppiare se questa tecnologia non fosse solo limitata quasi esclusivamente al Nord, dove ci sono il 95% degli impianti.
Uno sviluppo che dovrà partire innanzitutto dalla pubblicazione dei decreti attuativi previsti dal Dlgs 28/2011. Al centro della discussione sono come sempre gli incentivi e i processi autorizzativi.
Attualmente in Italia, secondo una stima della Crpa (Centro Ricerche Produzioni Animali) di Reggio Emilia, ci sono altri 100-200 impianti a biogas in costruzione che dovrebbero essere completati entro fine 2012.
Secondo Sergio Piccinini, ricercatore del Crpa, per quanto riguarda la produzione di energia elettrica da impianti biogas alimentati solo con scarti agro-zootecnici, censiti a maggio 2011, si era ad una potenza di 350 MW, che raddoppiava quando si consideravano anche le strutture alimentate con altri tipi di scarti. Una produzione che il ricercatore considera sottostimata rispetto a quello che è invece possibile ottenere.
Interessante è anche la produzione di biometano per generare energia termica. Secondo Piccinini con potenzialità calcolate, dalle biomasse di scarto potremmo raddoppiare la produzione di gas metano prodotto in Italia che attualmente oscilla intorno ai 7 miliardi di metri cubi. Infatti se ne potrebbero produrre altri 6-7 miliardi arrivando quindi a circa 14 miliardi di metri cubi complessivamente prodotti sul territorio nazionale. Ricordiamo che  quasi l'85% del fabbisogno è importato.
Sull’assetto della filiera e sulle necessarie politiche e normative del biometano se ne parlerà a Verona, nell’ambito della Bioenergy Fiera Agricola domani 3 febbraio nel convegno "Biometano: un’opportunità per la green economy italiana". Di biogas e di biometano si discuterà anche a Cremona nell’ambito di BioEnergy Italy (15-17 marzo 2012).

Amazzonia: scoperto un fungo capace di sopravvivere cibandosi di plastica

Amazzonia: scoperto un fungo capace di sopravvivere cibandosi di plastica
03-02-2012
Parliano della Pestalotiopsis microspora, un microrganismo che gli studenti americani di Yale hanno individuato nel corso di una spedizione in Ecuador. Tre le sue proprietà la capacità di cibarsi esclusivamente di plastica: notevoli le prospettive aperte dalla sua scoperta per il biorisanamento
Amazzonia, scoperto il fungo mangiatore di plastica
A volte è la natura stessa a fornire la soluzione ai problemi creati dall'uomo: potrebbe essere questo il caso del fungo scoperto da un gruppo di studenti dell’università statunitense di Yale in grado, secondo quanto spiegato in un articolo pubblicato dalla rivista Applied and Environmental Microbiology, di mangiare il poliuretano, uno dei materiali più resistenti inventati dall’uomo. Il fungo in questione si è perciò guadagnato subito una discreta popolarità per le prospettive che apre nella lotta all’inquinamento causato dalla valanga di plastica prodotta dalla nostra civiltà e che pone ancora notevoli difficoltà di smaltimento. Parliano della Pestalotiopsis microspora, un microrganismo che gli studenti americani di Yale hanno individuato nel corso di una spedizione nella foresta pluviale in Ecuador. Dopo aver isolato diverse decine di specie e tra queste il miglior "mangiatore" di plastica i ricercatori hanno dimostrato che è in grado di sopravvivere con una dieta a base di sola plastica sia in ambiente aerobico che privo di ossigeno. Il segreto di questa sua straordinaria facoltà è un enzima, la serina idrolasi, che il fungo usa per rompere i legami chimici più forti nel materiale. Per questo risulta molto promettente per le tecniche di biorisanamento. (f.n.)